L'inondazione del Tevere
Dopo la Presa di Roma del 20 settembre 1870 e dopo il plebiscito del 2 ottobre che sancì l'annessione dei territori pontifici al Regno d'Italia vi fu un vero e proprio fermento nella città.
I liberali facevano una forte pressione affinché il governo si stabilisse immediatamente a Roma.
Il decreto regio del 9 ottobre formalizzò l'annessione, congiuntamente all'impegno di emanare una legge apposita per garantire l'indipendenza del Pontefice e il libero esercizio della Santa Sede.
Tuttavia, il governo era cauto e non voleva precipitare il corso degli eventi.
Sicché non accolse l'invito pressante della città per un rapido trasloco.
Si doveva inoltre organizzare la prima visita di Vittorio Emanuele II alla città.
E mentre si discuteva su tali questioni, fu il 'biondo' Tevere a dire la sua e a porre fine alle polemiche.
Il fiume infatti, il 26 dicembre 1870, dopo un periodo di forti piogge, straripò in più punti, allagando intere zone della città.
I prati della Farnesina, Piazza del Popolo, Ripetta, il Ghetto, Tor di Nona, Via del Corso, Via Condotti, Piazza Colonna furono completamente sott'acqua, oltre i primi piani delle case.
La città dovette dunque provvedere ai soccorsi: far defluire l'acqua, spalare il fango, assistere la popolazione.
Fu questa la prima occupazione effettiva del Regno nei confronti di Roma.
Vi furono tre compagnie inviate per tale emergenza: la Brigata Abruzzi, la Brigata Sicilia e una compagine formata da diversi battaglioni di bersaglieri e reggimenti di artiglieria.
Le truppe lavorarono alacremente fino a tutto gennaio 1871.
Nonostante le linee di comunicazione interrotte il Re volle comunque rendere omaggio alla Città, particolarmente per visitare i quartieri maggiormente colpiti dall'inondazione e consegnare al Municipio la somma di 200 mila lire per soccorrere gli alluvionati più bisognosi.
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