Memoria di alpino: testimonianza di Elio Borgobello
[...] Quando il primo "T34" apparve, gli artiglieri attesero che arrivasse a una trentina di metri, poi aprirono il fuoco, scaricando i colpi sulla corazza del carro.
Il mostro non si fermò e proseguì la corsa verso il primo nostro pezzo, stritolando e travolgendo assieme i nostri artiglieri.
Noi, visto che la pattuglia di fanteria russa di scorta al carro armato si era fermata a un centinaio di metri prima di raggiungere la batteria travolta, indietreggiammo piazzandoci sul bordo di un canalone, pronti ad intervenire.
Mentre eravamo stesi a terra nella neve, assieme ad altri nostri soldati e a una decina di tedeschi, si fece avanti in secondo carro, di modello più leggero del "T34", che sollevando spruzzi di neve alti tre o quattro metri e trascurati i pezzi di artiglieria che non potevano scalfirlo, manifestava l'intenzione di travolgerci o almeno di obbligarci alla resa.
Quando ormai col cuore in gola, certi della fine ormai prossima avevamo perso ogni speranza, avvenne il miracolo.
A circa quaranta metri davanti a noi c'erano gruppi di sterpi secchi alti un metro, che nascondevano un affossamento del terreno profondo un paio di metri e colmo di neve ammassata dal vento.
Il carro armato, che procedeva lentamente, si infilò col muso nell'affondamento sprofondandovi e rimanendo con la parte posteriore rivolta verso l'alto, con i cingoli che giravano a vuoto.
Increduli assistevamo senza fiato alle inutili manovre che tentava il pilota russo, per disincagliare il carro.
Udimmo poi il carrista , visti vani tutti i tentativi, spegnere il motore, ma nessuno dell'equipaggio volle tentare l'uscita.
Il mostro di ferro ormai impotente era nelle nostre mani, ma noi, privi di armi adatte a metterlo definitivamente fuori uso, lo abbandonammo[...]
[tratto da: a cura di Berto Minozzi, Alpini, racconti in prima persona, Milano, Cavallotti, 1979].
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