C'era una volta un alfiere di fregata dal nome Emilio che navigava nel mare.
E c'era ancora il di lui fratello che da alfiere di vascello seguiva la scia del maggiore fratello ed aveva il nome di Attilio.
Entrambi i fratelli, di nascita Bandiera eran patrioti e vivevan in barba ai nemici beoti del sacro fuoco dell'idea di libertà d'Italia.
L'alfiere maggiore era uomo versatil e non solo di logiche d'armi sicché non disdegnava la passione per le magiche arti: l'astrologia, la cartomanzia, l'alchimia e la negromanzia.
Di stanza a Corfù ebbe da una cartomante un presagio parlante.
"All'insegna di un nome arcano rivolta e tradimento in un gran baccano.".
Era una giornata calda nel primo meriggio di giugno e l'impetuoso vento, come fosse un pugno, spostava i rami delle bouganville che si inerpicavano sulla facciata imbiancata della casa d'Attilio.
Attilio trascrisse la sibillina frase nel diario del giorno tentò di associarne il significato con quanto poteva metterne a contorno: le posizioni planetarie del giorno ma nessuna delle associazioni temerarie risultò valida poiché niente suggeriva alla mente un qualche senso recondito.
E nemmeno l'esoteriche trasformazioni che permetton di associare a lettere o parole i numeri strologati su cabalistiche operazioni.
'Nome arcano' e poi 'rivolta' e poi 'tradimento' e infine 'baccano' sembravano aggiungere null'altro al senso nascosto che da scovare restò assai tosto.
Attilio non trovò ma, gatta ci covò!
Passò del tempo, trascorse un anno e i Bandiera, con la stessa realtà d'una chimera sognarono in grande.
E a Londra incontrarno il maestro.
L'ispiratore, l'ideatore: il grande Giuseppe Mazzini che delle menti allarga i confini.
Attilio e Emilio sensibili al fascino che avvolge i miti si fan trasportare per lontani siti.
Il loro padre, nobile di rango, fu l'ammiraglio veneto Francesco Giulio Bandiera che serviva l'austriaco oppressore, dopo quel di Campoformio, e di molte azioni patriottiche fu il sedatore.
Per fare qualche esempio, eccolo intervenire nel provvedimento empio di catturare 97 rivoltosi che col trabaccolo Isotta fuggivano gli austriaci astiosi.
Il figli, come in molte famiglie succede, son di opposta concezione e non si pongon alla soggezione dell'odiato nemico.
Alfieri austriaci per volere del padre ma mazziniani impenitenti quale allora destino di molti ardenti.
Il fatto gl'è che dopo l'incontro britannico con il pater fu presa la decisione quater di passare all'azione con estrema decisione.
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Dalla adesione alla Giovine Italia l'istituzione di una segreta società: Esperia.
Nome di origine greca che ci ricorda l'antichità d'Italia.
Così scrisse Attilio al venerato e quasi coetaneo maestro Mazzini:
Il fermento insurrezionale in Italia dura, se debbo credere alle voci che corrono, tuttavia; e pensando che potrebbe ben essere l'aurora del gran giorno di nostra liberazione, mi pare che ad ogni buon patriota corra l'obbligo di cooperarvi per quanto gli è possibile.
Sto dunque studiando il modo di potermi recare io stesso sulla scena d'azione...
E, se non vi rescirò, non sarà certamente mia colpa.
Sarebbe mio pensiero di costituirmi, giunto su' luoghi, condottiero d'un banda politica, cacciarmi ne' monti, e là combattere per la nostra causa sino alla morte.
L'importanza materiale sarebbe, ben lo veggio, per questo fatto assai debole, ma molto più importante sarebbe l'influenza morale, perch'io porterei il sospetto nel cuore del più potente nostro oppressore, darei un eloquente esempio ad ogni altro che come me fosse legato da giuramenti assurdi ed inammissibili, e fortificherei quindi la fiducia dei nostri, deboli più che per altro, per mancanza di fede ne' propri mezzi e per l'esagerata idea delle forze nemiche".
Emilio, esaltato come il maggiore fratello, non si tirò indietro nella decisione ferale dell'organizzazione d'un moto insurrezionale in terra di Calabria.
Sicché sul fare del giugno 1844, il dì 13, tutto fu pronto per la partenza da Corfù la cui costa non rividero mai più!
In preda alla febbre d'azione i fratelli Bandiera alla testa di un gruppo di 17 prodi, puntaron la prua nel coro di lodi che gl'italiani di Corfù a loro cantaron laggiù!
Attilio nei giorni che precedettero la partenza si ritirò nel suo gabinetto alchemico e fino a tarda notte mesceva e provava, saggiava e distillava senza posa ma anche studiava e pensava e rifletteva sulla massima alchemica:
"Prendi l'uovo e rompilo con una spada ardente".
Narrava Maier (Michael Maier, Atalanta Fugiens, Oppenheim 1618) che v'è un uccello che vola più in alto di tutti gli altri.
Si trattava di trovare il suo uovo e di bruciarlo poi con cautela, per mezzo di una spada ardente di spaccarlo.
Se Marte viene in soccorso di Vulcano, allora dall'uovo nascerà un uccello capace di sconfiggere il fuoco e il ferro.
Perché l'uovo è la materia prima che si disintegra per scaturire una nuova vita.
Attilio visionario che credette alla trasmutazione e si assurse a 'demiurgo spadato', per una nuova vita della nazione.
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Attilio stratega che stringe i suo compagni in lega e vede nel moto calabro la realizzazione di un'operazione che collega lo scopo dell'Esperia contro la borbonica miseria.
L'armo dei velieri sottratti agli austriaci impressionò i neofiti cambusieri che mai prima d'allora avevan visto una barca come dimora.
Tutto fu compiuto e poi come ultimo saluto i due navigli carichi di uomini e munizioni salparon dal greco porto con insurrezionale rotta.
Nel gruppo dei diciassette uomini v'era pure un certo Giuseppe Meluso: brigante di chiara fama e non di spirto deluso.
Di lui si narra che la notte del 18 febbraio 1827, Giuseppe Meluso detto il Nivaro, con altri suoi compagni brigantelli, partecipò senza coltelli ad una violenta sparatoria contro la Guardia urbana di Caccuri.
Dopo circa un anno, assieme ad altri due fidati suoi eccolo ancora che attaccò la Guarda urbana di altri paesini.
Egli dapprima arrestato e poi condannato, ebbe l'ardire di riuscire a fuggire.
Questi riparò in terra di Corfù dove ivi cambiò il nome in Battistino Belcastro.
Il destino volle che il Battistino e cioè il Meluso tornò in Calabria con la spedizione Bandiera sul far di una sera.
Lo ribadiamo: la notte tra il 12 ed il 13 giugno 1844 sul trabaccolo Spiridione partì la spedizione di cui facevan parte:
Nicola Ricciotti da Frosinone, Domenico Moro da Venezia, l'avvocato Anacarsi Nardi, modenese, Giovanni Vannucci da Rimini, Giacomo Rocchi da Lugo, Francesco Berti da Lugo, Domenico Lupatelli da Perugia, Giovanni Manesci da Venezia, Carlo Osmani da Ancona, Giuseppe Pacchioni da Bologna, Luigi Nanni, Piazzoli Pietro e Luigi Miller forlivesi, Francesco e Giuseppe Tesei da Pesaro, Paolo Mariani milanese, e Tommaso Mazzoli bolognese.
Tutti patrioti accorsi per l'idea del moto rivoluzionario che dal Meridione avrebbe aperto alla nazione il sipario del teatro di lotta per la libertà.
Ma oltre alla succitata compagnia vi eran la guida calabrese ovvero il Nivaro ed ancora un corso di Oletta, chiamato Pietro Boccheciampe.
La sera del 16 sbarcarono alla Foce del Neto, presso Laganetto (in zona Cantorato) e si diressero nell'interno in cerca di rifugio.
Qui gl'uomini passaron la notte presso una chiesuola, vicina al Palazzo del Marchese Majda, con le veci del padrone di casa svolte dal torriere Bernardo Acciardi.
Poi all'alba del giorno 17, essi mossero verso il rifugio della "Masseria Poerio" poco lontano da Crotone e di proprietà del nobile Albani.
Attilio avea una pietra rubra nella tasca che presagiva burrasca.
Perché come tradizione vuole il granato che brilla all'improvviso dice mala sorte in avviso.
Ma la spedizione il suo corso procedeva ... mentre del còrso traccia si perdeva!
Dov'era sparito il Boccheciampe?!
Tosto si seppe!
Tradimento contro il tanto ardimento!
Egli si recò a Crotone per denunciare la rivoluzionaria intenzione alla Sottointendenza del potere borbone.
Ma nulla seppero Attilio e il di lui fratello sicché arrivati a Spinello subiron un'imboscata a fuoco e due ardimentosi perso la vita negli scontri spaventosi.
La compagnia riprese di corsa la via ed arrivò a Caccuri per dirigersi poi verso San Giovanni in Fiore.
Passaron verso Castelsialno dove il Battistino venne riconosciuto come brigante lestofante.
Sicché la gente, credendo il gruppo tutto delinquente, denunciò la sua presenza alla Guardia Civica del paese di San Giovanni in Fiore.
Ed ecco un secondo scontro dove persero la vita Giuseppe Miller e Francesco Tesei. Domenico Moro venne ferito ad un braccio, mentre Anacorsi Nardi ad una coscia.
Vi furon poi dodici arresti: Attilio ed Emilio Bandiera, Moro, Ricciotti, Nardi, Rocca, Venerucci, Pacchioni, Lupatelli, Manessi, Berti, Piazzoli.
Insomma si trattò di una vera sconfitta, come la cartomante vaticinò in modo preoccupante.
La meglio la ebbe il brigante Meluso il quale fuggì alla cattura e alla morte sicura.
Di lui nulla si seppe più mente degli arrestati, una volta a San Giovanni in Fiore allocati stettero in attesa di un nuovo trasferimento e non certo al loro bastimento, ormai senza speranza alcuna di godere d'un colpo di fortuna.
Il giorno 23 il processo a Cosenza che proferì la seguente sentenza:
I fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, al grido di "Viva l'Italia" oltre ogni barriera, congiuntamente a sette dei loro compagni, per volontà del re Ferdinando, furono condannati a morte e fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
Mentre gli altri compagni furono graziati: la morte commutata nella galera sorte.
E questa è la triste storia dei Bandiera che nella nostra memoria hanno impresso la gloria della determinazione di un fine patrio.
Che si vinca o si perda: alla causa di un ideale tutto vale.
Perché della vita interpretiamo un gioco che non ammette il pressappoco.
Ben lo sapevan gli eroi del Risorgimento che del portento riempion le pagine della meritoria storia patria di tutti e di ognuno di noi!
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Prologo
L'impresa tragica fece grande impressione alle coscienze contemporanee.
Nel resto d'Italia si scatenarono discussioni accese all'interno delle società segrete carbonare e dei movimenti politici liberali.
La spedizione dei Fratelli Bandiera ispirò diversi scrittori e poeti, fra cui Mameli il quale scrisse un canto per il secondo anniversario della morte dei Fratelli Bandiera (nel 1846) che recita così:
Tentai più volte un cantico
Come un sospir d'amore
A voi sacrar, ma un fremito
D'ira strigeami il core,
Ma soffocava il pianto
Sulle mie labbra il canto,
E non ardì il mio genio
Sui venerandi avelli
Dei martiri fratelli
Voce di schiavo alzar
L'inno dei forti ai forti,
Quando sarem risorti
Sol vi potrem nomar.
Come raccolta e trepida
Presso l'altar, fatale
Alla città dei secoli
La vergine vestale
Sul sacro fuoco intesa,
Noi pur la fiamma accesa
Dal vostro sangue, vigili
Nel nostro duol spiammo
Pensando a voi sperammo.
Trovammo in voi la fe'.
Quando dicean che solo
In sorte l'onta il duolo
A noi l'eterno diè;
E or fra il desio, fra l'ansia
Nuova speranza suscita,
Or che ogni grande affetto
Parla potente al core
L'italico cantore
Di nuova luce splendida
Sente nel sen presago
La vostra santa imago
E del suo carme il vol
Spiega ver voi le piume
Qual ci cometa il lume
Torna al paterno sol.
Chè fra i codardi, lurido
Vidi destarsi un riso
E dei tiranni a un'empia
Gioia atteggiarsi il viso
Mentre una grande idea
La fronte lor cingea
Della sua gloria, e i martiri
Della sua fede in cielo
Sgombre dal mortal velo
Dal suo cruento altar
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Di degno incenso fumo
Di degno fior profumo
L'anima a Lei mandar
Un indistinto fremito
Infra l'ausonie genti
Errar parea, commuovere
I popoli dormienti
Pareva giunta l'ora
Della promessa aurora,
Ma chi fia quei che scendere
Osi nel grande agone,
Della fatal tenzone
Primo il vessillo alzar?
Ringagliardir gl'ignavi
Un popolo di schiavi
Nell'avvenir lanciar?
Oggi a due anni - videro
Pregar la madre accanto
E una gentil che il pianto
Per non scorarli tenne,
E il mesto addio sostenne
Senz'arrestarli - martire
In pochi dì la pia
Vinta dal duol moria
Di libertà e d'amor.
Voi che sui cor regnate
S'ama così - gittate
Sovra quest'urna un fior....
Soli quei prodi scesero
- Onta ai fratelli - in campo
Qual la diffusa tenebra
Rompe solingo un lampo;
Ma anche in quel giorno amaro,
Credettero, speraro,
Morir gridando Italia,
Piangendo sui perduti,
Pregando pei caduti.
Pensando all'avvenir.
Col sangue del Divino
Trafitto un cherubino
Raccolse quel sospir.
E concludendo con le fonti, come ricordo dell'ultima ora dei fratelli in cella. Mazzini scrive:
La mattina del giorno fatale furono trovati dormendo [...] un prete venne per confessarli, ma essi lo respinsero dolcemente dicendogli:
"che essi avendo predicato il Vangelo, e cercato di propagarlo anche a prezzo del loro sangue fra i redenti da Cristo, speravano di essere raccomandati a Dio più dalle loro opere che dalle sue parole, e lo esortavano a serbarle per predicare ai loro oppressi fratelli in Gesù la religione della libertà e della eguaglianza" - Gridarono Viva l'Italia e caddero morti.
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