Un eroe bambino

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[Racconto di Paola Manoni]

 


La Suora cappellona è delicata nel fare le punture.
Il dottorino no, c'ha la mano pesante.
Il fante Osvaldo ripete sempre:
"Mönega cappellönna nötisia bönna" - lui è di Genova e come dice la frase mi fa tanto ridere.
Suor Maria Agnese quando si avvicina a me domanda, sotto la cornetta:
"Ma che avrai mai da rider bel fioeu?".
Il fante Osvaldo e tutti gli altri miei commilitoni stanno sempre con me in ospedale, dal giorno dell'incidente.
Mi portan la cioccolata e qualche volta un chicchetto del vin che piace a me.
Quello di Sabbioneta.
Sono malato e forse mi morirò ma, devo dire grazie al cecchino che mi ha centrato in pieno petto.
Perché ora mi voglion bene tutti: ho tanti amici e sono lodato dalla gente che conta.
E se dovessi chiudere gli occhi domani, quella salita sull'albero sarà valsa tutta la mia vita.
Io son di Vughera.
Il mio nome è Giovanni.
Nino per i commilitoni
Il cognome Minoli, soltanto di adozione.
In orfanotrofio ci sono andato come Valle...
Ma non ho memoria dei miei genitori.
Ero troppo piccolo quando sono arrivato all'Istituto.
Però ricordo che c'era poco da mangiare.
C'era poco di tutto.
Alcune suore sapevano leggere.
Altre facevano finta di saperlo fare.
Noi tutti, no.
Nessuno ci insegnava.
Lavoravamo il giunco, il legno, il ferro.
Per la lettura non c'era tempo
Poi mi raccolse il sciur Minoli.
Aveva necessità di un ragazzo.
Ma non di un figlio.
Non come figlio bensì famiglio nell'azienda agricola di famiglia.
Sguattero della Cascina Scortica, nel cuore della campagna oltrepadana.
E son diventato Giovanni Minoli, nato a Corana il 23 luglio 1847.
Non avevo un letto vero e proprio ma, il covone di fieno che in estate ammassavamo nel silo.
La mia esistenza andava tra la stalla e il campo.

 

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Immagine di una barricata (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Tra i sacchi e la polvere e i carri si vedono tre soldati. Al centro, di profilo e in primo piano, un soldato seduto su di un cumulo di terra, intento a leggere. Ai lati vi sono altri due soldati, si riposano sdraiati. Attorno svolazzano alcuni fogli stampati.Particolare di un soldato che dorme, lato sinistro.Particolare di un soldato che dorme, lato destro.
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Nel gelido inverno con gli animali.
In estate tra il riso e il grano da mietere.
Ero abilissimo col falcetto.
Poi ponevo il frutto della raccolta nei sacchi di juta e col mulo andavo al mulino.
E macinavo il grano.
Poi dalla pietra molare tornavo alla Cascina, carico carico.
Accadeva anche che facessi io il pane.
Ma di tutto questo non raccoglievo il frutto poiché a me arrivava il pane duro o ammuffito che dividevo con gli altri animali della fattoria.
Il curàt - don Firmino - a noi poveri ripeteva che gli ultimi saranno i primi.
Lo diceva scandendo le parole e concludendo con un sorriso che mostrava due denti d'oro, brillanti alla luce del sole.
"Urca!" - pensavo - "il prevost custodisce un tesoro in bocca: così non potranno portarglielo via!".
A Natale c'era la pesca di beneficenza.
Le signore di Voghera ricamavano centrini, cucivano tovaglie, lavorano la lana per la vendita di questi oggetti il cui ricavato andava a noi, ai poveri.
Ma il Minoli aveva il coraggio di dire che io non ne avevo diritto, per dimostrare agli occhi altrui che lui badava a me!
Ma non era vero!
E devo dire che il vice del prevost, don Pietro, sotto banco, mi dava sempre qualcosa.
Perché sapeva quale fosse la realtà.
Un pastore conosce bene le sue pecore.
Quelle nere meglio ancora di quelle bianche...
Il venerdì pomeriggio don Pietro ci riceveva in canonica.
Aveva un paio di stanze nella grande casa parrocchiale.
Radunava i famigli, gli sguatteri, tutti i ragazzi senza famiglia.
Ci ispezionava per bene: voleva che le mani come le orecchie fossero pulite.
Poi ci metteva a sedere sulle panche di legno attorno ad un tavolaccio, presso una stanzina che s'affacciava sul giardino. Se era inverno accendeva il fuoco e dopo un 'Pater noster' la perpetua ci portava una ciotola di latte, miele e il pan di mèi.
Don Pietro ci declamava allora dei passi del Vangelo o dell'Antico Testamento.
Oppure ci intratteneva con dei racconti di spirito patriottico e anti-austriaco.
Ci faceva sognare con tutte le sue storie, dimenticare la fame, la mestizia.
Ci insegnava cosa fossero altruismo ed eroismo.
Io ascoltavo, a volte trattenendo il respiro per l'emozione.
Quando leggeva qualcosa per noi, cercavo di sbirciare nel libro per intercettare le lettere corrispondenti ai suoni che uscivano scanditi dalle labbra del vice parroco.
Ma era troppo difficile!

 

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Immagine di un paio di occhiali poggiati su fogli scritti (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). In primissimo piano, un paio di occhiali tondi di foggia d'epoca su alcuni fogli scritti, accanto da una penna d'oca.Particolare della piuma.
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Quando don Pietro se ne accorse, mi regalò un abbecedario pieno di figurine associate alle lettere.
Lo tenevo nel granaio ben riposto e nascosto al Minoli.
Non me lo avrebbe tolto, non sarebbe arrivato a tanto, ma di sicuro mi avrebbe reso sempre più difficile la frequentazione di quelle due ore pomeridiane in canonica.
Don Pietro era un grande ammiratore di Garibaldi.
Cantava le arie delle opere di Verdi e ci insegnava motti e mottetti del tipo:
"Viva l'X con l'un de drio e l'oselin che fa pio pio" - modo alternativo di dire Viva Pio IX, con cui nel 1848 si alludeva alle qualità liberali del Pontefice (al di là della delusione che invece fu per tutti i patrioti...).
Resta il fatto che devo a don Pietro l'ardore di patria per il quale io oggi mi trovo in ospedale.
Perché son qui?
Veniamo ai fatti.

Corre l'anno 1859.
L'esercito franco-piemontese si scontra con quello austriaco.
L'obiettivo è quello di riunire la Lombardia e il Regno di Sardegna.
Non una semplice annessione ma un consistente atto per l'unificazione dell'Italia.
Gli antefatti li spiega a noi ragazzi don Pietro.
Il presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, il conte Cavour, dal 1852 avvia una politica estera verso la Francia e l'Inghilterra, per guadagnare future alleanze.
Mette a segno le alleanze soprattutto con la partecipazione sabauda alla Guerra di Crimea: invia un contingente di bersaglieri e carabinieri, in forza agli eserciti di Francia, Gran Bretagna e Turchia.
Sicché nelle trattative del Congresso di Parigi, Cavour siede allo stesso tavolo dei vincitori, avviando i primi contatti con Napoleone III.
Nel 1858 Cavour firma un'intesa segreta con la Francia che sancisce l'impegno di Napoleone III a intervenire a fianco dei sabaudi in caso di invasione austriaca.
Da qui, la provocazione del Regno di Sardegna affinché l'Austria dichiari guerra.
E guerra ha inizio!
I sabaudi contravvengono agli impegni assunti col trattato di pace del 1849.
E l'Austria cade nel tranello.
Infuria la battaglia.
Aprile 1859.
Gli austriaci attraversano il Ticino e invadono i territori piemontesi.
In pochi giorni detengono il controllo di Novara, Mortara, Vercelli, Biella.
Nessuna reazione dai Piemontesi.
Il campanello suona per i francesi per i quali, con gli accordi dell'anno precedente, si profila un buon bottino.
In cambio di alleanza, la Francia guadagnerà l'annessione di Nizza e della Savoia.

I venti di guerra spirano anche nelle nostre campagne.
I soldati dell'esercito franco-sabaudo sono vicini alla Cascina.
Loro marciano sulla strada mentre io conduco il mio esercito di pecore.
I piemontesi chiedono informazioni sul luogo.
Con i più giovani faccio già amicizia.
Imparo i loro nomi, la formazione dei battaglioni.
Da parte franco-sabauda ci sono:
La Brigata Blanchard composta diversi reggimenti di linea e artiglieria da campo;
la Brigata Beuret, anch'essa articolata in diversi reggimenti.
Poi la mitica Brigata Sarda di Cavalleria Leggera composta dai reggimenti di Aosta, Monferrato, con i Lanceri di Novara.

Il 20 maggio 1859 si svolgono le prime fasi della battaglia di Montebello.
I primi fatti di sangue sono atroci.
Perché alla memoria non va solo la storia di una battaglia ma anche il ricordo dell'eccidio di un'intera famiglia, oltre che la mia vicenda.
Ma andiamo per ordine.
In località Torricella, una fattoria, come tante altre.
E' abitata dai Cignòli, brava gente come noi, affittuari del fondo agricolo, non certo proprietari.
Da quelle parte girano i nemici.
Una pattuglia effettua la perquisizione della fattoria e trova un sacchetto di polvere da sparo.
La reazione è immediata: gli austriaci prelevano gli uomini della famiglia, in tutto nove anime tra cui un ragazzo come me, di 14 anni.
Vengon portati via con violenza.
E poi consegnati al feldmaresciallo Karl von Urban il quale per atto di carognade ne ordina l'immediata esecuzione: fucilati sulla strada per Casteggio.
I corpi sono agonizzanti, rimangon moribondi per ore.
La crudeltà austriaca è senza pari.
Cavour apre un'inchiesta e questo episodio ha grande diffusione presso l'opinione pubblica europea.
E ora veniamo a me, non lontano da Torreggia.

E' ancora il 20 maggio.
Mi sveglio di buon mattino.
E' una giornata calda.
Mi sciacquo al fontanile in maniche di camicia.
Mi arrotolo i pantaloni fin sotto il ginocchio.
Inizia un nuovo giorno con gli animali da accudire.
Lungo il sentiero che percorro d'abitudine, incontro la cavalleria piemontese.
I ragazzi li ho già conosciuti.
Oggi sono in assetto di battaglia.

 

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Immagine di una fila di libri disposti su uno scaffale (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vedono le coste dei libri, con copertine di diverso colore. Si leggono due titoli: 'Storia d'Italia' e 'Giovine Italia'.Particolare della costa del libro col titolo 'Giovine Italia'.Particolare della costa del libro col titolo 'Storia d'Italia'.
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Mi salutano e mi chiedono di pregare per loro.
La battaglia è già iniziata e loro muovono per raggiungere il fronte.
Mi informano di stare attento perché il nemico è ovunque.
"Piuttosto atènt a te" - rispondo risoluto.
Ma poi mi viene un'idea.
Fermo i ragazzi, proponendo loro di dare un'occhiata prima che si muovano, se è vero che la campagna è infestata dal nemico.
"Tu, ragazzino?" - mi dice un soldato anziano - "e come?".
Sono un abile arrampicatore di alberi.
Il gattice che si alza dritto davanti a noi, lo conosco di ramo in ramo poiché è il più robusto di tutto il filare d'alberi del sentiero.
"Vado a dare un'ugiàda e vi dico se la strada è sgombra".
Salto su, leggero leggero.
I soldati mi osservano e questo mi emoziona.
Salgo ancor più velocemente.
In breve e col fiato corto arrivo fino in cima.
C'è vento.
La punta dell'albero si piega dolcemente.
L'altezza da terra mi dà una lieve ebbrezza.
Deglutisco tre volte, prima di scorgere che una pattuglia di austriaci sta silenziosamente strisciando tra l'erba, dirigendosi nella nostra direzione.
Informo subito i ragazzi i quali mi implorano di scendere subito.
Esito poiché mi sembra di scorgere altri gruppi di austriaci che si muovono.
Anche di queste truppe nemiche svelo la posizione.
Ancora una volta mi chiedono di scendere.
Ma voi capirete che questo è il mio momento.
Sto vivendo il patriottismo col quale don Pietro mi ha allevato.
Partecipo anche io del mio tempo, sono parte della battaglia.
Sono un attore della Seconda Guerra d'Indipendenza.
E per questo sono pronto a dare la vita.
L'albero in cima è sottile.
La mia camicia troppo visibile.
O forse la mia capigliatura bionda e lunga che si agita nel vento.
L'austriaco mi vede e mi punta.
Il suo fucile mi centra in pieno petto.
Un colpo e sono riverso sul ramo ma non perdo conoscenza.
Un soldato sale e mi porta giù.
Mi accompagnano a cavallo in paese, mi conducono di corsa in ospedale.
Perdo tanto sangue.
La ferita al polmone è tanto brutta.
Il generale Forey in persona viene a trovarmi.
Trascorrono sei mesi, sono ancora in ospedale.
Le mie sofferenze sono atroci, i medici fanno quel che possono, così come i soldati che non mi lascian mai solo.
C'è sempre qualcuno con me.
Sono soldato anch'io, non più famiglio.
I Minoli, son gli unici che non vedo.

 

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Immagine di libri aperti su un tavolo, accanto ad un compasso (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Composizione simbolica. Gli oggetti posti su di un tavolo di legno sono visti dall'alto.Particolare di libri aperti.Particolare di un libro chiuso, accanto ad un compasso.
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Mai una volta han messo piede in ospedale.
Don Pietro invece, viene a piedi, tutti i giorni, per portarmi la comunione.
Spero ci sarà lui accanto a me, quando la mòrt verrà.
Perché verrà, è già in cammino verso di me.
Ma, lo ripeto, ne valeva la pena.
Ho solo dodici anni ma, cos'è il tempo?
Gli eroi muoion giovani e quasi sempre belli: anche i contadini come me.
Cosa conta il tempo della vita in confronto alla memoria della storia?
Ho dodici anni per la vita ma ne avrò 150 per l'Italia... perché, signori, avrete forse già capito chi sono:
quella piccola vedetta lombarda di cui narra in modo commovente il Cuore di Edmondo De Amicis.
Un episodio che non è solamente tratto dalla penna del poeta bensì dalle cronache dei fatti.
Perché la mia vicenda è realmente accaduta ed io Giovanni Minoli, identificato per sempre come il piccolo eroe che con il suo gesto salvò la vita di molti soldati.


Epilogo

Le pagine della La piccola vedetta lombarda di Edmondo de Amicis, narrano la storia di un ragazzo che incontra un reparto di soldati piemontesi presso le campagne nella zona di Voghera.
L'ufficiale teme di incappare negli austriaci lungo la strada sicché giudica che il ragazzo sia in grado di salire un certo albero di frassino affinché possa far loro da vedetta.
Il ragazzo accetta ed effettivamente avvista il nemico poco lontano.
Nonostante l'ufficiale comandi di scendere, il ragazzo continua ad osservare i movimenti degli austriaci, sprezzante del pericolo che sta correndo.
Gli austriaci vedono il ragazzino e iniziano a colpirlo.
Sotto il tiro del fuoco nemico, la vedetta non scende ancora: continua a dare dettagliate informazioni finché una pallottola non lo centra in pieno petto.
Il ragazzo cade e poco dopo spira tra le braccia dell'ufficiale.
La narrazione ha termine con l'omaggio dei bersaglieri che gettano fiori sulla salma del piccole eroe, avvolta dal tricolore.

Dalla fantasia risorgimentale al riscontro storico.

Nel 2009 Fabrizio Bernini e Daniele Salerno compiono delle accurate ricerche di archivio.
Studiano gli atti parlamentari del tempo, consultano gli archivi comunali e dell'ospedale di Voghera.
Rintracciano delle pagine scritte da don Pietro Silva, vice curato della parrocchia di San Lorenzo di Voghera, nelle quali il religioso scrive relativamente ad indicazioni ricevute dal dottor Odisio.

Dalle evidenze della documentazione rintracciata, identificano la piccola vedetta lombarda in Giovanni Minoli e, ricostruendo la vicenda della vedetta cantata da De Amicis, provano che l'episodio è veramente accaduto, dimostrando che la morte del piccolo avvenne nell'ospedale di Voghera il giorno 4 dicembre 1859 (e non, come vuole la licenza del poeta, tra le braccia dell'ufficiale).

Giovanni Minoli è dunque uno dei tanti illustri eroi-bambini che hanno fatto la storia dell'Italia Unita.
Eroi che oggi non sono più dimenticati.

 

 

 

 

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