Ai tempi di
Carlo Magno

- Parla Dagulfo -

[Racconto di Paola Manoni]

 

Quando entrai nell'Abbazia di Tour, il grande Alcuino ne era da poco diventato l'abate.
All'epoca io ero rozzo e ignorante. L'odore della terra del campo che lavoravo con mio padre era ancora sulla mia pelle.
La vita della campagna è dura e del tutto rispettabile ma io non sentivo che fosse parte del mio tracciato esistenziale.
Oltre l'orizzonte del campo vedevo che c'erano le parole, i segni scritti sulle pergamene che rubavo dal monaco a cui portavo quanto la mia famiglia produceva. Latte, formaggio, ortaggi e uova.
Entravo nello studiolo del religioso e sempre con gli occhi frugavo per vedere se sul tavolo ci fosse qualche parola.
Fissavo le lettere come se, il solo fatto di fissarle con uno sguardo intenso, ne potesse svelare il significato. Finché un giorno il sant'uomo non se ne accorse e mi disse che avrebbe parlato con i miei genitori.
Inizialmente compresi che volesse punire un atto d'insolenza ed ebbi paura di essere battuto da mio padre.
Non sarebbero state le botte a farmi male ma il divieto di fare le consegne a domicilio. In tal caso, non avrei più avuto alcuna opportunità di leggere l'alfabeto.
Invece fu tutto il contrario.
"Il regno terreno e il regno celeste hanno bisogno di giovani desiderosi d'imparare" - esordì il monaco parlando a mio padre il quale inizialmente non riusciva a capire dove questo discorso volesse andare a parare.
"L'istruzione" - aggiunse - "custodisce la parola di Cristo e fortifica il dominio dei Franchi".
A casa eravamo analfabeti da oltre sette generazioni e mai nessuno aveva parlato tra le mura della nostra dimora di "istruzione".
Tuttavia mio padre era un contadino originale poiché accettava anche quel che gli era completamente estraneo e, pur non comprendendo, acconsentì in modo che io venissi istruito presso l'Abbazia.
Io volevo già molto bene a mio padre che era un genitore affettuoso e il suo slancio pieno di generosità non lo potrò mai dimenticare. Perché mandandomi a scuola rinunciava a due braccia in campagna e noi si era in cinque figli di cui quattro femmine...

 

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Immagine di un cavaliere a cavallo (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vede un cavaliere vestito con l'armatura e l'elmo che gli nasconde il volto. Brandisce con la mano destra una spada che volteggia in aria. Lo vediamo girato di tre quarti e la rotazione del busto è bilanciata dal braccio sinistro con cui si sostiene alle briglie del cavallo. Un ampio mantello giallo sull'armatura volteggia dietro le sue spalle. Sullo sfondo, un cielo rosso puntellato di stelle. Particolare del muso del cavallo.Particolare del cavaliere.
 Paroliere  Trama e ordito  Banchetti  Giostre e tornei  Officina delle essenze  Intrattenimenti  Voci dal bosco
 

Mia madre mi cucì una camicia per l'occasione e, il primo giorno all'Abbazia dovevo sembrare molto buffo. Ero così impacciato quando varcai il portone di quel che mi sembrava essere un soprannaturale luogo di cultura e di contemplazione. I novizi mi lanciavano delle occhiate di fuoco e io arrossivo ad ogni pie' sospinto. Da allora, tutti i miei giorni, fino ad oggi sono trascorsi lì.
Questo vuol dire che presi i voti.
La vocazione arrivò chiacchierando di latino, retorica, dialettica, filosofia. Più che altro era la cultura la vera chiamata a Dio.
Ma per Alcuino non faceva molta differenza. Copiare le Sacre Scritture, passare ore ed ore nello scriptorium, non faceva differenza con la penitenza e la preghiera.
A quel tempo, secondo il volere dell'imperatore Carlo il Grande si trascrivevano, la parola di Dio e la saggezza dell'antichità.
E quando io mi feci monaco, Alcuino stava approntando per l'imperatore, una nuova versione della Bibbia, derivandola dalla comparazione di diversi manoscritti e correggendone molti errori.
Correva l'anno 796 e il grande abate aveva da poco lasciato la Schola Palatina presso la sede imperiale di Acquisgrana.
Alcuino aveva educato i figli di Carlo e all'imperatore stesso aveva impartito diverse lezioni di matematica e di astronomia.
"Dagulfo" - mi disse il grande abate un giorno - "non importa se molto o poco tu sia letterato ma soprattutto che tu abbia la libertà del linguaggio: la parola e la sua comprensione fanno tutta la dignità di un uomo".
Questo breve conversazione si impresse nella mia memoria in modo indelebile.
Fu l'incoraggiamento che io cercavo a tanto esitare e balbettare nella lettura e nella mano incerta della calligrafia.
Fu sempre Alcuino, per incoraggiarmi, a dirmi in un'altra occasione: "Ce la possono fare tutti, Dagulfo, te come Carlo Magno".
Fu un forte incoraggiamento e, per tanto tempo, pensai che fosse un modo lieve ed educato per dirmi che anche l'imperatore era analfabeta, proprio come me.
Mentre scrivo, si stanno svolgendo i funerali del sovrano. Ad Acquisgrana, il 28 gennaio 814, si è spento il fondatore del nuovo impero romano ma anche colui che, analfabeta o meno, volle un sistema di scrittura unificato.

 

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Immagine di Carlo Magno a cavallo (Per leggerne la descrizione proseguire nel link) Si vede l'imperatore, di spalle, canuto, con barba e capelli lunghi, vestito con una tunica ed un ampio mantello rosso che ricade sul dorso del cavallo. Con la mano destra brandisce in alto una spada. Attorno a lui, diversi vessilli di colore rosso che si agitano al vento. Sullo sfondo, un cielo stellato. Particolare del cavallo.Particolare di Carlo.
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E la sua scrittura "carolina" che sta ormai circolando in tutta Europa. La scrittura di un comune stile doveva consentire una più facile trasmissione della cultura e delle trascrizioni dei testi, ed in ciò verificando anche gli errori di ortografia e di sintassi dei manoscritti precedenti.
Carlo Magno aveva dato il via, tramite, Alcuino, all'idea di una cultura circolante nell'impero, dove le cattedrali, le chiese avrebbero dovuto offrire una scuola ed un'attività scrittoria.
Nel nostro scriptorium è nata la nuova scrittura. I posteri diranno che è l'antesignana dei caratteri a stampa. Io non so bene cosa questo voglia dire ma, posso dirvi che ora so scrivere perfettamente secondo questo stile, chiaro e ben leggibile.
Un giorno raggiunse l'abbazia una delegazione imperiale. Per noi monaci fu un evento del tutto inaspettato.
Carlo sarebbe arrivato di lì a pochi giorni.
Così Alcuino scelse alcuni di noi e ci disse: "Offriremo all'imperatore un piccolo codice che vi prego di comporre sin d'ora e senza sosta".
Seguì il brusio delle voci di tutti noi che commentavamo la decisione subitanea del nostro superiore. Qualcuno si fece coraggio e disse: "Ma come faremo in poco tempo?".
E Alcuino: "E' solo una questione di sistemi di misura. Se dici un giorno o se dici ventiquattro ore, certamente si equivalgono ma la determinazione delle ore che passano è diversa e più intensa di quanto non sia la valutazione di un solo giorno.
Sicché, contate in ore.... Vedrete che il tempo sembrerà più lungo!".
Trascorsero ore ed ore, prima per la preparazione della pergamena, poi per la rigatura dei fogli ed infine per la trascrizione del testo.
Era stata scelta l'opera di Alcuino: Pippini Regalis et Nobilissimi Juvenis Disputatio cum Albino Scolastico ovvero il Dialogo di Pipino ed Alcuino.
Si tratta di un testo dedicato al secondo figlio di Carlo, di soli cinque anni, contro i cinquanta dell'Abate il quale risponde ad una serie di quesiti, ponendo e risolvendo in ciò degli indovinelli e giochi matematici.
Per noi furono ore ed ore di copiatura. E riuscimmo a completare il codice solamente la mattina dell'arrivo a Tours dell'imperatore.

 

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Immagine di Ermengarda e Carlo Magno sulla sommità di un castello (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). A sinistra Carlo e a destra Ermengarda, entrambi in figura intera ed entrambi nell'atto di raggiungere a mezz'aria la mano dell'altro. Sono sontuosamente vestiti: Ermengarda con un abito di colore celeste, ampio e lungo fino ai piedi; l'imperatore con una lunga tunica violetta e mantello che scende dietro le spalle a strascico. Davanti a loro si vede il bordo merlato del castello. In lontananza due torri su cui sventalo due bandiere, ai lati del tramonto del disco solare, al centro del cielo. Particolare di Ermengarda e della sua lunga capigliatura bionda.Particolare di Carlo Magno canuto, con barba e capelli lunghi.
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Ricordo che in quei giorni, un inverno veramente rigido, trascorrevo molte ore nello scrittorio. Tanto da sentire i tendini della mano destra tesi come corde di archi.
Mi trovavo seduto e chino allo scrittoio, sotto la finestra, di spalle alla porta.
Assorto nella totale concentrazione della scrittura, non mi resi conto che qualcuno era entrato.
Solo quando costui fu dietro di me, alle spalle, ne percepii la presenza.
Era un uomo robusto, alto, con la testa tonda, gli occhi scintillanti, il naso dritto e la capigliatura bruna, vestito di una cotta militare.
Non riuscii a dominare lo spavento.
"Chi siete?" - domandai ingenuamente.
"Il vostro imperatore, qui prostrato al tempio di cotanta cultura" - rispose lui.
Io non ebbi coraggio di replicare e m'inchinai.
Avvertii però la sua soggezione, ovviamente non nei miei riguardi ma, verso il sapere che il posto rappresentava.
Carlo osservò attentamente tutto. I calamai, i pennini e le piume d'oca, le punte secche per rigare i fogli, gli strumenti delle miniatori, le polveri d'oro e di lapislazzuli per mischiare i colori e quanto altro vi fosse nella grande sala.
Poi tornò verso di me. Si chinò sul foglio che stavo scrivendo e poi di scatto si ritrasse con un'espressione strana. Leggermente trasognata e con gli occhi lucidi.
Si girò di scatto e abbandonò lo scriptorium.
Fu quella la grande occasione d'incontro che ebbi con Carlo Magno.
A dire la verità non colsi l'aspetto sacrale dell'incontro con un potente. Ho solo visto l'uomo e la sua aspirazione alla conoscenza.
E oggi che non c'è più, voglio ricordare particolarmente questo aspetto privato e non la sua grandezza politica e militare.
Anche mio padre se ne è andato ma mi ha lasciato la sua naturalezza e spontaneità nel trattare gli esseri umani in modo uguale. Questo e le parole sono quanto di più prezioso vi è nel mio mondo.

 

 

 

 

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