a neve ricopriva l'entrata della stalla ormai deserta.
Uno zoccolo compatto di ghiaccio bloccava le finestre del vestibolo della casa.
L'inverno più rigido che io ricordi degli ultimi dieci anni.
Rigido nel clima e nelle condizioni esistenziali.
Non avevamo più nulla; mangiare era un pensiero doloroso visto che il cibo era quasi totalmente assente.
La mamma cercava di rattoppare i nostri vestiti, talmente consumati che il tessuto si sfrangiava al passaggio dell'ago, rendendo quasi impossibile la cucitura.
Noi ragazzini poveri della contea stavamo crescendo senza infanzia né sorriso.
Non svaghi né gioco e nemmeno doni di Natale.
Il mio unico giocattolo era un arco che avevo costruito con uno spago e un bastone flesso ben lavorato.
Mi ritenevo molto fortunato ad avere realizzato l'arco.
Via via ne costruii degli altri per i miei amici con i quali passavo le ore a fabbricare le frecce.
Mia madre ed io avevamo in comune un temperamento gioviale e spirito di adattamento.
Riuscivamo a sopravvivere senza drammatizzare.
Solo i morsi della fame rendevano difficili le nostre giornate.
Gli esattori di Giovanni Senzaterra non ci facevano più paura.
Ci avevano portato via tutto sicché non potevano più colpirci e questo, anche se è un paradosso, procurava felicità... finché mia madre non si ammalò.
Accadde tutto all'improvviso.
Eravamo nel bosco, nel tentativo di cercare dei funghi.
Io tenevo un buon passo anche se il mio sguardo frugava tra le erbe e le foglie del terreno.
Mamma era dietro di me, camminava più lentamente ed aveva la capacità di individuare i funghi dall'odore.
Li sentiva anche da una certa distanza.
Sembrava tutto normale, come innumerevoli altre volte.
E invece successe qualcosa.
Mia madre, di punto in bianco, cadde a terra come svenuta.
Un tonfo sul letto di foglie del sentiero.
Tornai subito sui miei passi.
La trovai accasciata.
Il cestino dei funghi ruzzolato.
Non si riebbe.
Respirava impercettibilmente ma era viva.
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La portai a casa correndo a perdifiato, sopra le mie forze.
Rimase in questo stato due giorni.
La gente del villaggio andò da James Hoogings, valvassore di Giovanni Senzaterra implorando un medico che non arrivò.
Morì all'alba del terzo giorno.
In silenzio, senza disturbare nessuno.
Una morte riservata, come era lei.
Qualcuno mi disse che poteva trattarsi di ictus cerebrale o di qualche altro disturbo del cervello e che non si sarebbe potuto fare nulla per salvarla.
Ma la mia rabbia cresceva ogni giorno.
Se fossi stato ricco, forse lei avrebbe avuto una vita migliore e il suo cervello non si sarebbe ammalato.
Se non ci avessero tolto tutto, animali, denari, speranze... mia madre forse ci sarebbe stata ancora.
Non riuscivo a placarmi.
Più passava il tempo e maggiore era la mia reattività.
Il tiro con l'arco era l'unica cosa in grado di alleggerire il dolore e l'ira.
Spesso da solo, a volte in compagnia degli alti ragazzi, andavo a tirare nelle radure dei boschi o sulle sommità rocciose delle colline della contea.
Un giorno John ed io eravamo in cima ad un pendio, tirando con l'arco.
Sotto di noi passava un carro di gente ricca (chiunque abbia un carro, di questi tempi è da considerarsi ricco).
"Ehi, John, Scommetti che riesco a mirare la carrozza in movimento?" - dissi a John con convinzione.
"Ma è pericoloso! Rischi di uccidere qualcuno!".
"No! La mia freccia l'attraverserà da parte a parte, senza ferire alcuno!".
Ciò detto mairai... puntai l'arco.
Il colpo era carico.
Tendevo al massimo il braccio che teneva l'arco mentre l'altro, piegato, era pronto a scoccare il dardo.
Un frustata in aria e, non fallii l'obiettivo.
La carrozza si arrestò di colpo e ne scesero due uomini impauriti.
"Non uccideteci. Vi diamo tutto ma, risparmiate le nostre vite, per carità!".
"Ehi John... questi ci hanno preso per briganti".
"Senza dubbio, Robin... e ora che facciamo?!" - mi domandò John impaurito.
Un'idea balenò nella mia testa.
"Se non te la senti, resta qui nascosto!" - dissi velocemente a John - "Altrimenti, seguimi e bendati il volto col fazzoletto ma, sbrigati!".
Il mio tono non ammetteva deroghe.
Vidi John tremante che estraeva il fazzoletto dalla tasca.
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Non avevo tempo e non badai molto a capire se mi seguiva o meno.
D'un balzo scesi dalle rocce.
"Mani in alto" - urlai - "Siete sotto tiro!".
Effettivamente, tenevo l'arco puntato verso di loro, con una freccia già pronta a colpire.
I due tremavano.
Mi avvicinai a loro con lucidità e distacco.
"Cosa trasportate?" - dissi in tono minaccioso.
Invero ero più teso del mio arco ma ero risoluto nel perseguire la mia idea.
"Derrate alimentari per il castello di Nottingham" - rispose il più coraggioso dei due.
Sentivo dietro di me il passo affrettato di John.
"John! Salta sul carro e controlla se dicono la verità".
John salì risolutamente sul carro.
Sentivo che apriva scatole, armeggiava con botti, cassette...
Dopo poco scese.
Aveva un'aria da estasi.
"Giuro di non aver visto mai tanta roba da mangiare in vita mia!".
"E tutto per il castello di quell'usurpatore, farabutto, assassino di mia madre, di nome Giovanni Senzaterra e la sua corte di criminali?".
I due servitori non ebbero il coraggio di rispondere.
L'avevo detto.
Consideravo Giovanni l'assassino di mia madre per mano della misera in cui ci aveva gettato e che faceva patire al popolo inglese.
"Prendi del pane e del formaggio, John!" - ordinai al mio amico - "Mettili in una bisaccia, se la trovi".
John tornò sul carro e in pochi minuti preparò quanto gli avevo chiesto.
Io non staccavo gli occhi di dosso dai due malcapitati.
Mossi solo il collo per indicare a John di depositare la bisaccia ai piedi dei due.
"Ora" - dissi rivolgendomi alle nostre vittime - "andate al Castello. Il cibo è per voi. Dite a Giovanni che Robin Hood riprende quel che lui toglie alla gente. Ditegli pure che da oggi ha un nuovo nemico!!!".
Senza fare un fiato, i servitori raccolsero la sacca e se ne andarono via.
Tremolanti e poi di corsa, con l'evidente terrore di essere raggiunti da una freccia.
Una volta spariti all'orizzonte, dissi a John:
"Sai condurre un carro di cavalli? Dobbiamo nascondere il bottino!".
E ci incamminammo con un'andatura quasi al trotto.
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"Ma ti rendi conto di quel che ti è saltato in mente? Ora siamo dei fuorilegge" - disse John con tono grave.
"Senti, te l'ho detto subito che se volevi potevi non entrare in questa faccenda!" - dissi seccato - "Non ho tirato premeditando una rapina. Non ho pensato affatto potesse finire così. Sono stati loro a considerare la freccia un segnale d'aggressione!".
"E che dovevano pensare, in effetti? E poi sta di fatto che li hai rapinati!" - replicò John.
"Me lo ha suggerito la situazione! E ho visto subito la possibilità di vendicarci, riscattare la condizione di povertà in cui siamo tutti ridotti! Ma non capisci? Oggi ho dichiarato guerra ai ricchi, agli oppressori, ai nemici dell'unico signore d'Inghilterra che è Cuor di Leone!".
Vedevo John allibito.
"Ma tu ora sei un fuorilegge! Hai dichiarato il tuo nome... lo sceriffo metterà una pesante taglia sulla tua testa... hai pensato alle conseguenze, Robin??!".
John è il mio migliore amico.
Parlava così per il mio bene e per questo cercai di replicare con dolcezza:
"Ci sono dei momenti in cui la vita si gioca su una decisione. Io ho scelto di combattere. Vivrò con il mio arco in clandestinità nel bosco e organizzerò tutto quel che sarà in mio potere per resistere alle angherie del tiranno." - Parlavo a John con il pensiero rivolto a mia madre - "Combatterò o fino al giorno di cui Re Riccardo tornerà o fino alla mia morte!".
"Morte all'oppressore, Robin!" - rispose John - "tu non sei solo... prima delle armi ci sono gli amici!".
Detto questo ci abbracciammo commossi.
La foresta di Sherwood offre ottimi ripari.
Arrivammo in un punto piuttosto impervio e poco conosciuto dove, anni fa, scoprimmo una grotta.
Trasferimmo tutto lì dentro... le provviste erano così tante che l'intero villaggio andò avanti per due mesi, il tempo utile per superare il periodo più duro dell'inverno.
Oggi ho perso il conto delle rapine e dei furti che ho organizzato, se così li vogliamo chiamare.
Ho perso anche il conto delle taglie messe sulla mia testa... ma la gente mi segue e mi protegge.
Non mi avranno, non otterranno facilmente la mia pelle...
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