ono Bragi, di origine finlandese e vivo oramai da molti anni in Islanda.
Sono arrivato sull'Isola con una nave vichinga, diversi anni fa. Allora avevo la speranza di poter vendere i miei versi presso la corte islandese.
Il fato mi ha esaudito e oggi sono uno scaldo ovvero poeta di corte incaricato di scrivere saghe e poemi.
L'Islanda è una terra fantastica. Ghiacciata ma piena di inventiva creativa dove si compongono opere letterarie di grande valore che nascono dalla gente.
A differenza di altri luoghi, non esistendo da noi un'aristocrazia feudale, è dagli agricoltori, dai pescatori che arrivano le idee che si trasforman poi in poesia o in prosa.
Sicché la nostra letteratura tratta di eventi nei quali vi è il coinvolgimento diretto della gente.
Storie che si svolgono quasi sempre in Islanda o, al limite, in Groenlandia e in Norvegia.
L'inverno da noi è eterno.
Il freddo ci costringe a vivere nelle case.
Sicché è consuetudine che la gente stia nella Badstofa che significa 'stanza riscaldata'.
Qui si legge, si scrive, si copiano i testi manoscritti e non di rado si recita.
Viviamo delle parole che popolano i nostri componimenti! Per noi scaldi il legame con i versi è ancor più vitale perché si tratta della nostra fonte diretta di guadagno.
Per questo motivo sono emigrato dalla Finlandia... e ora mi trovo nel palazzo reale dove il mio sovrano, per le canzoni che scrivo, mi ripaga donandomi anelli, gioielli di grosso valore o anche monete d'oro!
Un mio mitico predecessore, Snorri Sturluson, ci ha lasciato un'importante testo che viene chiamato Edda in prosa. Quest'opera è oramai un trattato fondamentale per la preparazione epica dello scaldo e raccoglie tutti i più importanti miti norreni.
Gli scaldi hanno sviluppato nel tempo un proprio stile poetico. I versi hanno una struttura molto complessa, dei veri e propri panegirici al re, memoriali e testimonianze delle battaglie.
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Un tipo fondamentale di verso delle saghe scaldiche è il così detto drapa che contiene un ritornello ma vi è anche il lausavisur che è un verso improvvisato, composto per l'occasione che ha ispirato la poesia.
Di lausavisur sono pieni in nostri canti d'amore.
Io, amante malinconico, ne so qualcosa.
Anni fa mi aggiravo con la mia lira tra i banchi del mercato dei tessuti.
Ogni anno, a fine estate, inizia la vendita delle stoffe invernali.
Lana, panni dai colori sgargianti.
La gente si riversa nelle strade del mercato per rifornirsi di filati, di metri e metri di stoffe che i sarti trasformano in abiti caldi per il lungo inverno.
Tutti i popoli nordici sono attratti dal colore e amano mettersi indosso degli abiti decisamente colorati. Dobbiamo compensare il bianco dell'ambiente circostante, visto che viviamo immersi nella neve per mesi e mesi.
Ma, dicevamo... quella mattina ero al mercato.
Ero quieto e interessato a cercare del feltro per confezionare un cappello quando, all'improvviso, si avvicinava una fanciulla bellissima.
Karen (questo il suo nome) era tutta intenta a scegliere una lana variopinta.
Rimasi imbambolato davanti a lei e poi, quando si mosse, con discrezione la seguii fino ad arrivare presso la sua casa, completamente dimentico di quanto stessi cercando al mercato.
Lei entrava in casa mentre io mi arrampicavo sull'albero, proprio davanti a quello che ritenevo essere il suo balcone.
Tornai li la sera stessa.
L'intento era quello di suonare una serenata dolcissima alla bella Karen.
Attaccai la melodia e improvvisai versetti amorosi.
Ma, nel bel mezzo della canzone si aperse la finestra e, anziché apparire la ragazza, comparve suo padre il quale non lanciò né baci né petali di rose ma un bel secchio d'acqua che mi prese in pieno.
Scesi dall'albero molto avvilito.
Pure molto indignato. Sono uno scaldo di corte... e poi quandanche fossi un musicista qualunque... perché tanta ostilità verso il bel canto?
Feci ritorno a casa ma nemmeno lo choc dell'acqua fredda riusciva a farmi dimenticare quella ragazza.
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Sicché i giorni seguenti tornai alla carica e, sempre prendendo delle copiose secchiate d'acqua.
I miei versi non piacevano, era evidente.
Una sera, sconsolato e arrampicato sull'albero, strimpellavo tra me e me una breve strofa musicale, cercando di comporre nella mia testa un verso d'amore disperato.
Stavolta si aprì un'altra finestra.
Era lei, Karen.
Mi guardava senza dire una parola.
Continuai a suonare per un po'. Poi le domandai il suo nome.
"Karen" - rispose.
La sua voce fu una scoperta magnifica. Aveva un timbro sonoro particolare che mi piacque subito. Aveva una voce che innamora.
"Vi ho vista al mercato l'altro giorno e da allora non faccio che pensarvi" - dissi io. Forse era una frase scontata ma, nel mio caso, esprimeva la pura verità.
Lei sorrise ma aveva un'espressione triste.
"Ho detto qualcosa che non va?" - chiesi io, preoccupato di esser causa della mestizia.
"No, nulla!" - rispose lei evasiva.
"Nulla, vuol dire... cosa?" - replicai io, sollecitandola a dare una spiegazione migliore.
"Devo andare via da qui... i miei genitori vogliono mandarmi ad un collegio a Leida".
"E dov'è di grazia questa città?" - chiesi io.
"In Olanda. Lontano da qui" - rispose sospirando.
"Ma quando partirete?" - replicai impaziente
"Tra tre giorni!" - e una lacrima le bagnò una guancia.
In quei tre giorni composi melodie su melodie.
Non dormivo ne mangiavo più.
Cantavo sull'albero sotto la sua finestra, per fortuna all'asciutto, nel senso che il papà non provava a scacciarmi più... tanto sapeva che Karen l'avrei perduta...
La cosa più bella fra noi fu che facemmo amicizia.
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Parlavamo liberamente e ridevamo felici
L'ultima sera rimanemmo a parlare a lungo. A voce bassa per non farci sentire.
Io sul ramo più alto dell'albero e lei alla finestra.
Ad un certo punto Karen ebbe un'idea, folle ma meravigliosa.
"Mi aiuti a scendere? Vorrei salutarti" - disse di getto.
"Scendere? Se ti scopre tuo padre ti ammazza!" - risposi io considerando la sua proposta rischiosissima.
"E che m'importa? Tanto già mi confina in Olanda..." - ribatté Karen e d'improvviso si mise in piedi sulla balaustra.
"Ma sei impazzita!" - mi prese letteralmente un colpo - "scendi subito e, piuttosto prendi le scale... inutile rischiare la vita... se hai il coraggio di competere con tuo padre, sfidalo dalla porta e non dalla finestra".
La convinsi e scese.
Scesi anch'io dall'albero.
Era una notte molto fredda ma incredibilmente nitida.
Luna piena e stelle lucenti.
Lei uscì dalla porta.
Io rimasi nascosto dietro un cespuglio, poco distante.
"Dove sei?" - sussurrò Karen - "dove sei?" - ripeté con ansia, muovendo qualche passo.
"Shhhh... piano!" - replicai dal cespuglio.
Lei si girò in direzione della mia voce. Io allungai una mano e le sfiorai il braccio.
Lei si avvicinò. Io la tirai verso di me, abbracciandola.
E le diedi il bacio più dolce che io abbia mai dato ad una fanciulla.
Rimanemmo insieme fino al crepuscolo.
Ai primi raggi di sole dell'alba ci separammo.
Karen sparì dietro la porta. La porta si richiuse senza fare il minimo rumore.
Non la vidi più.
Oramai è passato diverso tempo. Forse non incontrerò mai più questa ragazza.
Ma la nostalgia di quella notte, sì! Resterà.
Tracce di vita nel mio canto che la gente si tramanderà.
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